Nel 1998 una ONG chiamata Global Witness pubblica un documento destinato a modificare radicalmente il mondo dei gioielli. Il titolo reca un gioco di parole: rough trade e’ il commercio dei diamanti grezzi ma si puo’ rendere in italiano anche come commercio rude, sporco, immorale. Il comparto della produzione e della distribuzione dei diamanti si prende un bel ceffone e impara molto presto che nel terzo millennio i conflitti fratricidi armati dalle gemme grezze sono illuminati dai potenti riflettori dei media globalizzati.
La società civile – questa e’ stata la lezione – aveva espresso codici morali più avanzati di quelli di cui poteva disporre la gioielleria. Il gap viene colmato dal coraggioso avvio del processo di Kimberley, un complesso sistema di certificazioni che ha portato nell’ultimo decennio a una drastica riduzione dell’assorbimento dei diamanti sospettati di alimentare guerre civili. La procedura ha richiesto la convergenza sui temi etici non solo del composito pianeta dei preziosi e del suo indotto ma anche delle ONG, del mondo accademico, delle istituzioni dei governi nazionali e dell’ONU e, last but not least, delle associazioni di categoria. La responsabilità etica si impone nelle economie sviluppate come il frutto della lunga maturazione dei temi legati alla protezione sociale delle frange più indifese dei processi produttivi (il lavoro minorile, il depauperamento dei territori dell’estrazione di metalli e gemme preziose, l’impatto ambientale, e così via).
In questo contesto le varie aziende stanno posizionando precise politiche di CSR (responsabilita’ sociale di impresa), operazioni specifiche ispirate da finalità benefiche o comunque di attenzione alle parti sociali con cui si viene in contatto. La CSR non nasce dunque come semplice risarcimento da parte di imprenditori benefattori agli anelli deboli della catena produttiva ma come una precisa strategia rivolta alla migliore soddisfazione di tutte le parti interessate dall’esperienza dell’impresa. Le politiche di esercizio di responsabilità sociale, in definitiva, non sono solo moralmente auspicabili, ma anche economicamente necessarie per il miglioramento delle performance delle imprese del comparto orafo e delle gemme. Appena dietro l’angolo il consumatore ci guarda e, giudicandoci, entra in negozio oppure orienta altrove il suo portafogli.E’ proprio questa l’ottica degli interventi che stanno recuperando le simpatie e il rispetto del consumatore verso la galassia del gioiello e delle pietre preziose.
Decisive si sono mostrate, solo per citarne un paio, le iniziative del WDC (World Diamond Council), artefice del Kimberley Process e del RJC (Responsible Jewellery Council), un’associazione internazionale che raggruppa solo soggetti che abbiano credenziali valide sotto il punto di vista etico circa l’acquisizione di gemme e metalli preziosi. Assogemme ha ottenuto nel gennaio del 2012 il riconoscimento dello status di membro. Inizia dunque un percorso assai impegnativo e articolato: le gemme che arrivano nelle vetrine del lusso hanno ancora un percorso tortuoso dal quale occorre sgombrare le sacche di opacità e gli ostacoli alla trasparenza.
Paolo Minieri – comitato scientifico Assogemme